DOVE E QUANDO
info e prenotazioni
Giovedì 12 ottobre ore 21
Teatro Rasi
Via di Roma, 39, 48121 Ravenna
Biglietti su www.ravennateatro.com
Biglietti qui
L’ULTIMO NASTRO DI KRAPP
DI SAMUEL BECKETT
traduzione di Carlo Fruttero
diretto e interpretato da Giancarlo Cauteruccio
assistente alla regia e costumi Massimo Bevilacqua
In accordo con Arcadia & Ricono Ltd per gentile concessione di The Estate of Samuel Beckett e Curtis Brown Group Limite
Con L’ultimo nastro di Krapp Giancarlo Cauteruccio torna a Samuel Beckett, il suo autore guida e ad uno dei suoi testi più amati, in veste sia di interprete che di regista. La piece, già messa in scena con successo in precedenti edizioni, gli ha valso la presenza nella terna finale del Premio UBU come miglior attore protagonista nel 2004 e poi, perno nello spettacolo TRITTICO BECKETTIANO, ha visto Cauteruccio ricevere il Premio alla regia dell’Associazione Critici di Teatro nel 2006 al Teatro Argentina.
Instancabile frequentatore della drammaturgia, della poesia, della narrativa beckettiana, Cauteruccio ha al suo attivo nove regie su testi dell’autore irlandese; ha ideato inoltre, con Franco Quadri, due grandi manifestazioni dedicate a Beckett intitolate “Beckett 90 anni” e “Beckett 100 anni” ed ha pubblicato nel gennaio del 2018 il libro Samuel Beckett Nel buio di un teatro accecante con Edizioni Clichy.
Dal programma di sala, estratto del testo di Laura Visconti su L’ultimo nastro di Krapp
Scritto nel 1957 e rappresentato a Londra, questo atto unico mette in scena un solo personaggio, un grande frequentatore dei luoghi della memoria.
Il vecchio Krapp, rintanato nella sua stanza in compagnia di un registratore e un numero cospicuo di scatole ben ordinate, sperimenta un viaggio in un altrove temporale, il suo passato. È concentrato sul mezzo meccanico che può permettergli tale fuga a ritroso: ha infatti conservato e catalogato con cura e meticolosità tanti nastri da lui stesso registrati ogni compleanno, per tramandare brandelli significativi di vita e di esperienza, condensate in un racconto sintetico, benché “ispirato”. Ma nemmeno questo raffinato strumento della memoria può funzionare.
Il tentativo escogitato da Krapp per recuperare quella creatura di un tempo, il sé stesso giovane, si fa sempre più inefficiente e non bastano ormai quegli ancoraggi e appigli che aveva inventato tanto tempo prima. Egli ascolta la sua stessa voce emergere dal passato, interrompendo proprio quella continuità, che rende la frase dotata di senso, con commenti derisori, oppure ripete segmenti di ciò che ascolta con ironia, rivelando tutta la sua disillusione. Il nastro rimanda infatti una voce che narra eventi ormai incomprensibili, mentre i relativi libri-indici-registri, risultano altrettanto privi di valore e di significato. La distanza tra il vecchio e il sé stesso giovane è diventata definitiva. La continuità tra presente e passato è irrimediabilmente distrutta. Alla fine Krapp rinuncia ad ascoltare sé stesso: la voce si scioglie in silenzio, il movimento si raggela in immobilità. Con Krapp Beckett ci offre uno dei suoi personaggi tipo, e una situazione a lui consueta. Da sempre, in veste di raffinata, estenuata letterarietà figure tradizionalmente popolari come il comico del cinema muto e del cabaret, o il clown, con il gusto per lo spirito e le gags del circo: un personaggio triste e ridanciano insieme, ironico e autoironico, spesso con venature patetiche, sentimentali, struggenti. E insieme rappresenta la situazione di scacco, di disfatta alla quale il personaggio si adegua consapevole: un personaggio che man mano si svincola da gesti, azioni insensate dettate solo dall’abitudine. Ma nel quadro paradossale che Beckett riesce sempre a creare, la disfatta potrebbe anche rivelarsi come la rivincita del personaggio liberato dall’abitudine e dalla memoria volontaria, a favore forse della memoria involontaria, l’”illuminazione” di marca proustiana, l’unica che Beckett aveva definito degna di essere sperimentata. Lo scacco del personaggio è anche lo scacco e il fallimento al quale l’artista deve sottostare, come Beckett aveva teorizzato tanto tempo prima: l’arte è fallimento e l’unica possibilità per l’arte è la rappresentazione del fallimento.
EVENTI PASSATI
Teatro Alice Zeppilli Sabato 18 marzo Pieve di Cento (BO)
Teatro Ciro Pinsuti 4 febbraio 2023 Sinalunga
Auditorium – Il Dialma – cantiere creativo urbano 9 dicembre 2022 La Spezia (SP)
Teatro Antonio Ghirelli 19 – 20 novembre 2022 Salerno
Teatro Vittoria 12 novembre 2022 Cascine di Buti
Teatro Tina di Lorenzo 8 ottobre 2022 Codex Festival – Noto (SR)
Tip Teatro – Circolo Culturale 30 aprile 2022 ore 21.00 – Lamezia Terme (CZ)
TEATRO DESIDERA – OSCAR 24 – 25 febbraio 2022 – Milano
TEATRO NICCOLINI 7 – 9 dicembre 2021 – FIRENZE
“[…]questo regista spesso estroso si limita stavolta a scavare nelle pieghe della sua implacabile scritture, cavandone tuttavia risonanze di inusitata intensità. […] Cauteruccio inquadra questi squarci di sofferenza con una nitidezza spasmodica, e una partecipazione così forte da dare quasi disagio. […] E tocca lo spettatore nel profondo l’immagine dello stesso regista, livido, pressoché obeso, arrochito nelle sue cadenze calabresi, che compulsa maniacalmente registri di episodi e di date e irride ai propri ricordi divorando ottusamente banane, in straziante contrasto col canto cinquecentesco che gli fa da sottofondo, e con la pacata desolazione di quel se’ stesso di tanti anni prima che racconta la disperata fine di un amore.”
Renato Palazzi“[…] e soprattutto Giancarlo Cauteruccio sono le voci e il corpo di quel vivere “per tormento” che secondo Beckett è il senso stesso, sia pure senza futuro, dell’esistenza.”
Maria Grazia Gregori“[…] E dunque, anticipando ed estendendo il gag iniziale delle banane contenuto nel testo, Giancarlo Cauteruccio sottolinea come meglio non si potrebbe, e insieme con intelligenza e ironia, il tema profondo di cui si tratta […] E di suo, Cauteruccio ci mette anche la non meno adeguata fisicità pantagruelica, accoppiata a un sapido virtuosismo mimico […] Si tratta certamente di uno spettacolo pregevole e originale. Da non perdere.”
Enrico Fiore“[…] Cauteruccio fagocita il segno beckettiano, lo ingloba nella sua corpulenta e inesauribile vitalità scenica, in un oltraggio quanto mai amoroso che arriva al cuore più profondo di quella partitura per voce sola…”
Antonio Audino“Infine Giancarlo Cauteruccio, regista dell’intera serata, interpreta una nuova edizione dell’Ultimo nastro di Krapp, dove la vita si misura col mezzo meccanico, alternando al ritorno del passato colto da precedenti incisioni al registratore le riflessioni dettate lì per lì, confronto di un vecchio con un altro remoto se stesso, in cui si accavallano nostalgia e disperazione davanti al trascorrere del tempo. E il fantasma di Beckett rivive e moltiplica la sua immagine nella sua analisi dei rapporti tra personaggi ed effetti scenici che è la vera chiave della serata.” DA VEDERE
Franco Quadri“CAUTERUCCIO A PRATO RIFLETTE CON BECKETT SUI DIFETTI DEL SECOLO”
“…L’ultimo nastro di Krapp visto a Prato, teatro Fabbricone, rappresenta la quarta puntata del felice rapporto tra una delle nostre migliori compagnie di teatro di ricerca, i Krypton dei fratelli Cauteruccio, e l’opera di Samuel Beckett […] Qui è lo spettacolo: nella capacità di Cauteruccio di recitare e pensare insieme, trasformando un capolavoro di mezzo secolo fa in una parola che sembra scritta sulla ferita aperta del nostro tempo”.
“E’ tempo di anniversari. Da Carducci a Brecht, da Ibsen a Beckett. L’omaggio culturalmente più corposo va a Beckett, con una kermesse lunga tre mesi promossa e condotta da Giancarlo Cauteruccio, che in Italia è il più importante interprete beckettiano. […] La radice di quest’opera si ritrova nella nuova versione che Giancarlo Cauteruccio dedica al suo Krapp […] Questo smembramento dell’io in un tempo crudelmente lineare è uno dei vertici religiosi del XX secolo e Cauteruccio ce lo offre con grande lievità – come sa fare solo chi davvero conosce il suo oggetto. […] L’insieme è di grande sostanza, un omaggio a Beckett degno di Beckett. Gli applausi interminabili ne sono la conseguenza.”
Luca Doninelli“L’ULTIMO NASTRO DI BECKETT SALVERA’ L’UMANITA’ DAL CAOS”
“Nel 1997 Cauteruccio ebbe un colpo di genio. Diresse “Finale di partita” in dialetto calabrese. Equivale a dire: questo testo è irlandese, cioè universale. Equivale a dire una cosa più importante: questo testo mi appartiene, è cosa mia, sgorga dal mio stesso sangue. Ed eccone la conferma: flagrante, assoluta. Cauteruccio rimette in scena Krapp ma non si limita ad allestire un’edizione per un altro attore. Krapp è proprio lui e la foto del padre 83enne accanto alla foto di Beckett, così lontani e così vicini, il primo così somigliante al secondo, prima che lo spettacolo cominci, dal programma di sala ci fa capire quale ne sia l’intendimento, o meglio la pulsione: Cauteruccio pensa che Beckett gli sia in qualche modo padre. Non vi è in questo pensiero alcuna iattanza. Vi è anzi umiltà. La stessa umiltà che muta Cauteruccio in quello specifico Krapp che è: non più pura presenza, una pura voce, un filo di fumo metafisico. Al contrario un corpo, un respiro, un passo pesante, uno zoppicare. Oppure: uno zoppicare o un danzare? Cauteruccio ai piedi ha degli stivaletti bianchi, a punta, con tacchi pesanti. E si fanno risuonare i suoi passi, sembra che non stia camminando ma ballando un flamenco. E’ strano o è sommamente beckettiano? Io dico che è beckettiano”.
“IL CLOCHARD MAGO. Cauteruccio nell’antro di Beckett.”
“… Nella sua messinscena, fedele (e cioè personalissima), del testo di Beckett, Giancarlo Cauteruccio, sconfessando il pregiudizio secondo cui gli oggetti hanno un’essenza ma non un’esistenza, lo riprende proprio come si fa con le vecchie glorie, esaltando il peso degli anni: un ingombrante cimelio da modernariato che troneggia sulla famosa scrivania con i cassetti aperti verso il pubblico. Lui e Krapp, lui e Cauteruccio, sono contemporanei, in un certo senso si assomigliano, il primo è la protesi poetica del secondo, insieme danno vita a un’esecuzione della partitura beckettiana, mai così dolente mai così sincera, che è anche la trasparente confessione di un destino teatrale – quello del leader dei Krypton – e di un’avanguardia per cui l’ironia non è il gelo, ma un lirismo ulteriore e stravolto.
“IL PESO DI CAUTERUCCIO NON SCHIACCIA BECKETT.”
“… Straordinario e beckettiano è il rito di questa figura contemplativamente obesa, armata di rumorosi stivali pitonati, il volto di gesso da cambusiere solitario e bofonchiatore […] Ma l’intrusione di Cauteruccio è la valvola più pulsante, ora tradotta in moto celibe di un arredo perimetrale, ora connaturata nell’uso che l’attore fa di un respiratore, uno strumento terapeutico che sa di tortura. Intima identificazione con Beckett, con gli “anni migliori” che non rivorremmo indietro. E bello spettacolo.”
INDIMENTICABILE NASTRO DI KRAPP
“Lo spettacolo vede Cauteruccio unico memorabile protagonista sia nei panni del Krapp vecchio che parla dal vivo sia come voce registrata al magnetofono trent’anni prima. L’interprete e regista ha qui il merito di personalizzare l’esile quanto istruttiva esperienza di uno scrittore fallito che riascolta i nastri su cui ha inciso le sue dichiarazioni giovanili. […] La battuta finale: «Forse i miei anni migliori sono finiti. Ma non li rivorrei indietro» suggella una serata di teatro indimenticabile come ogni pagina di Beckett.”
“Eccellente la regia di Giancarlo Cauteruccio.”
“[…] Giancarlo Cauteruccio definisce con assoluta lucidità quel divario tra luce e ombra, tra corpo e spirito che è una delle chiavi di lettura dell’opera – suggerita dallo stesso Beckett con una nota in calce al primo copione in cui l’autore indicava l’elemento manicheista come una “matrice culturale” – agendo nel rigore ieratico dell’idea scenica (un uomo che ascolta la sua voce) che si fonde con la gag da cabaret circense (lo scivolare sulla buccia di una banana). […]Buio. Capolavoro.”
“STRIZZA L’OCCHIO AI MOSTRI DI TOLKIEN IL RIGOROSO KRAPP DEL NUOVO MILLENNIO. Il dramma di Beckett è uno straziante requiem sulla sorte dell’uomo stritolato dalla civiltà delle macchine.”
“[…] Lì dentro le pentole sfrigolano sul fuoco, un vapore da povera mensa rionale pervade la platea e la misera cena si appresta col debito contorno di due banane che somigliano a due grossi tuberi. Né questa è la sola ingegnosa novità che ci propone la sua lettura inedita e rigorosa dal momento che l’impossibile evasione da quella tana che ormai gli è cresciuta addosso come una seconda pelle è a un certo punto additata nell’immagine di una strada ferrata su cui potrebbe persino scorrere, come in un bizzarro incubo infantile, il trenino dei giochi mai abbastanza rimpianti. Ai quali la voce a tratti rotta e cavernosa e a tratti alta e chiara come una spada lucente dello straordinario interprete conferisce una sorprendente emozione.”